Naruto
Le Cronache dei Demoni
Un urlò squarciò l’aria. Un ragazzo rotolò a terra. Fece per rialzarsi, ma con un schiocco sordo tutti i suoi movimenti furono bloccati, le mani alzate a cerchio sopra la testa, gli occhi azzurri puntati verso un uomo dai capelli neri con una coda sparuta, che indossava una maglia bianca e un giubbotto da Jonin, e legato al braccio destro c’era il coprifronte con il segno del villaggio di Konoha.
L’uomo sospirò osservando il ragazzo. - Ah, Tabito è l’ennesima volta che ci caschi… Hira e Kuroda riescono sempre ad evitarla la mia tecnica, invece tu… Lasciamo perdere… Mi farai impazzire lo so già -
Il ragazzo era immobile e non poteva fare nulla se non sperare nell’intervento dei compagni. Volgeva lo sguardo intorno a sé, entro la possibilità dell’immobilità. All’improvviso si udì una voce femminile risuonare nell’aria.
- Hishu, Tecnica dell’Armadillo di Roccia, Arte della Terra! -
Delle rocce intorno al Jonin si sollevarono creando un armadillo che si strinse in cerchio attorno all’uomo. Subito dopo, un altro urlo provenne dal bordo della foresta; questa volta una voce maschile.
- Takun, Tecnica del Drago Infuocato, Arte del Fuoco! -
Una drago di fuoco si levò nell’aria e iniziò a volteggiare attorno all’armadillo, rendendolo incandescente. Un ragazzo dai capelli neri stava uscendo dal folto del bosco e i suoi occhi scuri fissavano il capolavoro che aveva appena fatto.
- Sapete, dovrei fare lo scenografo – disse ghignando.
Tabito rise alle parole del ragazzo e lo stesso fece la ragazza, dai capelli lunghi castani, gli occhi verdi e la carnagione rosea.
- E allora, il mio armadillo non era cosi grazioso – domandò sorridente.
Un rumore alle spalle dei ragazzi li volle far voltare, ma erano impossibilitati. Una risata allegra, li avvertì che il Jonin era libero e si trovava alle loro spalle.
- MAESTRO SHIKAMARU?!? - fu il grido dei tre ragazzi
- Come avete fatto a liberarvi? - domandò Kuroda, il ragazzo che aveva evocato il dragone di fuoco.
Shikamaru ridacchiò. - Direi che per oggi può bastare… Che ne dite se venite a mangiare a casa mia? Sò che Temari mi ammazzerà, ma sapete… Spesso ci si trova meglio ad affrontare qualcuno in compagnia che in singolar tenzone -
- Ci stiamo - fu la replica dei ragazzi, sghignazzanti alla proposta, e si avviarono verso la periferia del villaggio di Konoha.
Tabito scherzava con Kuroda, mentre Shikamaru parlava tranquillamente con Hira. Dopo appena venti minuti giunsero davanti alla casa del maestro che, con un sospiro, si voltò verso gli allievi.
- Ora aspettate prima di entrare. Sentirete un po’ di baccano, ma niente di che –
I tre si guardarono con aria interrogativa, facendo spallucce.
Shikamaru entrò e, in effetti, subito dopo si sentì la voce elevata di una donna, la quale si placò quasi all’istante. Un maestro paonazzo si presentò agli occhi ridenti dei tre allievi.
- Dai venite dentro, tra poco è pronto il pranzo – disse con voce calma.
- Wow, non vedo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti! – esclamò Tabito.
- In effetti… Avevo un certo languorino… - commentò Kuroda, massaggiandosi il ventre.
I tre entrarono nella casa del loro sensei; all’interno stava una donna dai capelli biondi divisi un quattro code ai lati della nuca. Teneva in braccio un bambino di quattro o cinque anni. La donna salutò i ragazzi con un sorriso; Shikamaru invitò, allora, gli allievi in salotto dove decise di sfidare a shogi Tabito, che ovviamente riuscì a perdere in appena dieci mosse.
Tabito ancora abbattuto per la sconfitta iniziò a parlare con Hira mentre Shikamaru stava stracciando anche Kuroda.
- Maestro Shikamaru, lei è di una tristezza immensa… - borbottò il ragazzo, sbuffando.
- Avete ancora molto da imparare voi Genin, presuntuosi come siete – replicò il sensei, ridacchiando.
- Qualcosa mi dice che anche Kuroda ha perso – disse Hira, osservando i due.
- Beh, se non ho vinto io cosa pretendi? Lui è una schiappa a questo gioco – rise Tabito.
- Ehi, Hirashi! – ribatté Kuroda. – Guarda che ti ho sentito, sai! –
- Non ti angustiare, Kuroda, è la pura verità – concluse Shikamaru, scompigliandogli i capelli e alzandosi.
Fu solo dopo mezz’ora che avvenne qualcosa di nuovo,. Qualcuno bussò alla porta e fece il suo ingresso nella casa un uomo alto, vestito di nero; dietro la schiena aveva una giara, i capelli castani arruffati erano piuttosto corti e gli occhi erano contornati da dei disegni viola.
Temari vedendo l’uomo sorrise.
- Ciao fratellino… Come stai? –
- Non c’è male, grazie – rispose Kankuro.
- E Gaara? – chiese ancora la sorella.
Il nuovo giunto ridacchio - Beh… Glielo potrai chiedere te domani. Oggi non è potuto venire a trovarti poiché essendo il Kazekage ha il dovere di far visita agli Hokkage… Comunque aveva in piano di venire a farti visita –
In seguito, Kankuro entrò in salotto e notò il Jonin della foglia che stava venendo verso di lui con un sorriso tranquillo.
- Kankuro! Che piacere vederti, come va? E giù alla sabbia? -
Il Comandante delle Guardie del Villaggio della Sabbia scrollò le spalle.
- Diciamo che il villaggio non è messo in una posizione gradevole; continuiamo a subire attacchi
dai rinnegati e da delle creature a noi sconosciute… - il suo voltò si rabbuiò.
Scese un silenzio sconfortante su tutta la stanza.
- Gaara è riuscito a venire qua solo perché ci sono le mura a piramide a difendere il villaggio, sennò non ci sarebbero stati componenti della Sabbia quest’anno alla selezione dei Chunin -
Shikamaru mugolò. - Perché ho l’impressione che a breve arriverà una missione da parte di Naruto?-
- Temo anche io che succederà – annuì Kankuro. - Anche se in parte io ne sono felice: mi sento più sicuro avere alla Sabbia un ottimo ninja come te… E forse verranno anche Neji Hyuga e Shino Aburame -
Shikamaru osservò Kankuro con occhi sgranati.
- E’ davvero così grave la situazione? – domandò sconcertato.
- Purtroppo è così… -
I ragazzi osservavano i due uomini parlare, quando all’improvviso si sentì Temari chiamare a tavola gli ospiti, che si fondarono subito in cucina dove la donna servì il pranzo.
- Pancia mia fatti capanna! – esultò Tabito.
- Se la tua si fa capanna, la mia diventa una metropoli – commentò Kuroda, fiondandosi sulla sua scodella di riso. – Buon appetito! –
- Ah, no, se speri di battermi ti sbagli di grosso! – ribatté l’amico.
I due iniziarono un duello senza precedenti, nella storia della culinaria. Divoravano cibi su cibi, senza farsi andare di traverso neanche un boccone.
Temari sorrise, leggermente turbata.
- Sono contenta che vi piaccia… Eheheh… -
- Diamine, Shikamaru, questi sarebbero i tuoi allievi? – chiese Kankuro, guardandoli a bocca aperta. - Se sono così veloci pure a combattere, non oso immaginare… -
- Credimi, sono così solo a tavola… - spiegò Shikamaru, tranquillo come sempre, scuotendo il capo.
Hira, seduta vicino ai due compagni, li osservava divertita, più che stupita.
Fu solo dopo circa venti minuti che tutti i presenti al tavolo terminarono le pietanze preparate da Temari. Ciò non valse per Tabito e Kuroda, che finirono dieci minuti prima degli altri.
Le persone ospitate e i padroni di casa parlarono del più e del meno e fu solo dopo un’altra mezz’ora che i tre Genin salutarono e ringraziarono il maestro Shikamaru, Temari e Kankuro.
Tabito, insieme a Kuroda e Hira, parlottava tranquillamente, discutendo sottovoce su quello che avevano sentito dire da Kankuro.
- Voi cosa ne pensate? – domandò agli amici.
- E cosa vuoi che pensiamo? – replicò Kuroda. – Siamo Genin, la cosa non ci riguarda… -
- Io, invece penso che ci riguardi – disse Hira. – In fondo, chiameranno anche gente come noi per le missioni, non credete? Anche se siamo Genin, non abbiamo nulla da invidiare ai Chunin -
- Sei molto sicura di te, Hira – commentò Tabito, con le braccia dietro la testa.
- Sì, giusto un pochino… - mormorò Kuroda, con le mani in tasca. – Arrivare a paragonarci ai Chunin –
La ragazza arrossì, giocherellando con le dita delle mani.
Tra le strade di Konoha si passava a stento talmente erano affollate, dato che era il giorno del mercato e le famiglie ne approfittavano per andare a spendere i soldi in ciò che serviva o piaceva.
Fu allora che Tabito andò a scontrarsi con un uomo vestito di nero, con sopra il corpetto bianco della squadra Ambu. Anziché avere la maschera della squadra speciale, non essendo in missione, l’uomo portava una maschera di tessuto nero e il coprifronte di traverso così da coprire l’occhio sinistro; il ninja aveva capelli bianchi sparuti.
- Ehi, ma guarda dove vai! – protestò Tabito, agitando un pugno.
Il Jonin alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e osservò il ragazzo che gli era venuto addosso.
- Ehilà… - salutò - Non sei uno degli allievi di Shikamaru Nara, tu? –
La voce dell’uomo era allegra e si vedevano le pieghe di un sorriso affiorare sulla maschera nera, i ragazzi lo osservarono ammirati; poi Tabito con un cenno rispose.
- Sì, io sono Tabito Hirashi, lui è Kuroda Masahiro e lei è Hira Tamasashi. Voi, invece, chi siete? -
L’uomo osservò il cielo.
- Sono io, no? -
- Sì ma chi siete … Quale è il vostro nome? - fu la replica di Kuroda, inarcando un sopraciglio.
- Oh, il mio nome… Ehm, al momento sono talmente preso da questo libro che penso che il mio nome sia Hitashi Kilara –
I tre Genin lo scrutarono stralunati.
- Oddio, questo mi sa di pazzo forte – disse Tabito sottovoce a Hira, la quale annuì convinta.
L’uomo si grattò la nuca, con un sorrisetto invisibile ai ragazzi.
- Ma insomma, come cavolo ti chiami?! – esclamò Kuroda, con una vena che gli pulsava sulla tempia.
L’uomo sospirò.
- Ma quanta irruenza… Comunque ora ricordo…Il mio nome è Kakashi Hatake -
I ragazzi spalancarono le bocche sbalorditi. Insomma, erano davanti al maestro di tre dei sei ninja leggendari. Fecero per parlare ma non ci riuscirono, erano troppo emozionati.
- Questo è il famoso Kakashi Hatake? – si chiese Tabito – No, non ci credo… -
- Che emozione! Hai sentito Kuroda? Costui è Kakashi! – disse Hira.
- Sì, sì certo… Quante balle… - sbuffò Kuroda.
- Arrivederci ragazzi, salutatemi Shikamaru – si congedò l’uomo.
Riprese la strada ritornando a leggere il libro che aveva interrotto a causa dei tre Genin.
I ragazzi fecero per salutare Kakashi, ma lo persero di vista, data la sua rapidità.
Oramai erano giunti allo svincolo in cui ogni giorno i tre si salutavano per tornare a casa. Era ancora tardo pomeriggio ma dovevano aiutare i genitori, e così come ogni giorno i ragazzi si separarono con un ultimo cenno.
- Ci vediamo domani, ciao Kuroda, ciao Hira – agitò una mano Tabito, correndo verso nord.
- Ci si vede, Tabito –